Irish Whiskey: con una ‘e’ in più

Parlando di whisky, si può cominciare dall’America. C’è meno ‘classe’, ma più sostanza. Già là il whisky lo chiamano ‘torcibudella’ e proviene in gran parte dal rude Kentucky. In Inghilterra gli avventori dei numerosissimi pub bevono whisky puro: piccoli sorsi a fil di labbra, come si addice a chi impiega una lingua in gran parte sussurrata, in qualche occasione biascicata, sempre e comunque insinuante. L’americanismo dilagante, tuttavia, ha fatto sì che molti sudditi di Sua Maestà abbiano assunto la riprovevole abitudine di annegare la sacra bevanda con quantità industriali di cubetti di ghiaccio; è la collaudata ricetta on-the-rocks di universale successo, comunque aborrita dai puristi. Se si sale ancora un po’, in Scozia, cominciamo a incontrare persone – sanguigne, moderatamente chiassose – che sanno bere meglio degli altri, per innata tradizione. Ma è oltre un breve tratto di mare, in un’altra delle grandi isole britanniche, che il ‘whiskey’ (con la ‘e’, badate bene) viene ‘vissuto’ – più che bevuto – come in nessun altro luogo della terra. Questo posto è l’Irlanda, che si picca di produrre il miglior whiskey che ci sia e si picca, oltre tutto, di saperlo bere come va bevuto: assaporandone profumi e corposità, discutendo, filosofando quasi, ispirando e assorbendo fiducia e amicizia.

L’arte della distillazione è alla base della preparazione di un buon whiskey, così come di altre bevande alcoliche. Nel caso del whiskey irlandese quest’arte, importata nell’isola nel 600 dopo Cristo, la si deve ai monaci. Forse pensavano di poter distillare essenze o profumi, come avevano visto fare nei paesi caldi del Mediterraneo; finirono invece per produrre una bevanda che chiamarono Uisce Beatha, parole gaeliche o Irish che stanno per ‘acqua di vita’. Si deve poi alla lingua inglese se i due vocaboli originali, aspri nella grafia ma docili all’orecchio, divennero whiskey; una delle poche parole presenti in quasi tutti i dizionari del mondo. L’acqua-di-vita è compagna discreta e insieme invadente delle giornate irlandesi. Questo perché sono gli stessi isolani, pochissimo discreti ma per fortuna nient’affatto invadenti, a far sì che il visitatore venga coinvolto, grazie alla complicità della celebre bevanda, nell’affascinante gioco d’amicizia che nell’Eire è una specie di sport nazionale. In uno dei numerosissimi pub di Dublino o di qualunque altra città o paese, è molto facile che un avventore, intento a sorbirsi la sua dose di Uisce Beatha, vi coinvolga in amichevoli colloqui sul clima mutevole dell’isola, sul sole dell’Italia, sul gioco del calcio. Gli irlandesi amano parlare e vi diranno che, bevendo whiskey, è opportuno rendersi conto che si beve una vera e propria ‘leggenda’ liquida e che esistono regole che vanno rispettate.

La prima è quella di non ficcare il naso nel whiskey dell’amico che beve con voi. Un vecchio proverbio irlandese esorta a ‘non portar mai via la moglie a un altro uomo e a non versar mai dell’acqua nel whiskey degli altri’. Inutile cercare di apparire premurosi, non verrebbe apprezzato; ciascuno si manipola la bevanda come più gli piace. Ovvio che la si può bere pura, ma se deve essere allungata con acqua, questa è operazione riservata al proprietario del bicchiere. Nel pub, con amici abituali o con quelli casuali, magari col sottofondo di musiche e cori, i toasts si intrecciano. Non sono quelli lisci o farciti che conosciamo noi, i toasts irlandesi. Sono i ‘brindisi’, gli indirizzi di saluto e d’augurio che ci si scambia prima di bere. Fra i tanti auguri che si possono ricevere, uno è particolarmente curioso e felice: ‘che tu possa trascorrere un mezz’ora in paradiso, prima che il diavolo sappia della tua morte’!  Ma anche quando il diavolo arriverà, immersi come saremo nell’altrove irripetibile atmosfera di un pub irlandese, finiremo per alzare il bicchiere persino nella sua direzione, augurandogli: Slainte (salute).

post scriptum: Questa parola, a mio modesto parere, rappresenta un buon finale ad effetto, parlando di whiskey (sempre con la ‘e’). Siccome c’è il rischio che qualcuno, in Irlanda, la pronunci come la vede scritta, preciserò che va gorgogliata così: Slànn-ce.

del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

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