Ceramiche lombarde

Costantino Baroni (Milano, 1905-1956) prima di dedicare le sue energie di studioso a quelle che la tradizione definisce arti maggiori, scelse di occuparsi, per circa un quindicennio, di ceramica. Nel 1934 Baroni pubblica un catalogo sulle ‘ceramiche italiane minori’ conservate nel Castello Sforzesco di Milano. Non sono comunque pochi gli studi effettuati su ricerche documentate e relative agli artigiani che hanno operato in diversi centri lombardi, in special modo a Lodi e Pavia, dall’alto medioevo in poi. Le ceramiche medievali si dividono, in base al rivestimento contenuto, in due classi generali: le ingubbiate, coperte con un velo di ingubbio terroso bianco e quindi con una vetrina e le smaltate o maioliche, rivestite con uno smalto opacizzato allo stagno. L’ingubbio viene applicato per eliminare il rosso naturale dell’argilla alluvionale prima della cottura; il contrasto col fondo sottostante si ottiene per asportazione, mediante una stecca di legno o di osso; le maioliche, più pregiate, non necessitano di un’ulteriore copertura sotto lo smalto; pochi i colori impiegati: manganese per un colore da viola a nero, rame (ramina) per il verde, cobalto per il blu e com­posti di ferro (ferraccia) per il giallo ­bruno.

Nei secoli XI e XII nei centri più importanti della Lombardia, specie quelli situati sulle direttrici di traffico commerciale, vengono impiegate ceramiche a scopo decorativo (dette ‘bacini’) sui muri esterni dei monumenti romanici; un buon numero di tali decorazioni è giunto sino ai nostri giorni, in particolare a Pavia. Due bacini in ‘proto-maiolica’, un tempo visibili sulla facciata di San Simpliciano a Milano, sono ora conservati nelle raccolte del Castello Sfor­zesco. Passando agli oggetti d’uso domestico, si può rilevare come fino al Trecento l’impiego di stoviglie sia appannaggio di ben precisi ed elevati ceti sociali, mentre per tutti gli altri vi sono contenitori in ceramica privi di rivestimento o addirittura in legno; per cucinare si adoperano pentole in ceramica o in pietra tornita. Verso la metà del secolo XII, nei documenti milanesi che risalgono a Bernabò Visconti, si parla dei ‘boc­calari’ (fabbricanti di ceramiche) e vengono inoltre precisate le ‘misure’ dei boccali da osteria, ovviamente a garanzia dei consumatori. Quali siano poi i ‘disegni’ riprodotti sulle ceramiche della seconda metà del Quattrocento, lo si intuisce dagli scarti di fornace rinvenuti a Pavia, Como e Lodi: motivi geometrico-vegetali, arricchiti da rombi; quindi uccelli, figure umane, decorazioni araldiche e zoomorfe, biscioni viscontei. Verso la fine del Quattrocento e sino alla metà del Cinquecento divengono noti i nomi di alcuni boccalari di Lombardia: i Cattaneo di Lodi e un certo Angelo, attivo nel 1545 a Savona. Da Pavia e da Lodi molti muovono verso i centri minori del mantovano per esercitare il loro mestiere: Ostiglia, Viadana, Sermide e Revere, oltre che alla Corte dei Gonzaga e a Padova. Giorgio Andreoli, forse il più famoso del tempo, si reca invece a Gubbio, specializzandosi nella decorazione a lustro delle maioliche.

Le testimonianze scritte riferibili all’inizio del Seicento parlano di una progressiva minor produzione, di qualità oltretutto scadente; cause imputabili a ricorrenti crisi economiche, aggravio delle tasse per le botteghe artigiane, pestilenze, carestie, ecc.; si importano quindi ceramiche da Venezia (1611), arrivano vasai da Roma (1621) e da Urbino (1624). Differente la situazione di Lodi, la cui produzione specializzata di maioliche, che continuerà sino al Settecento, vede sul mercato nuovi produttori, tra i quali emerge nel 1641 la fabbri­ca Copellotti; Pavia invece, per cercare di ovviare a un evidente stato di crisi, nel 1609 concede ai bergamaschi Drusi il privilegio di fabbricare maioliche. Prima che abbia inizio l’era delle ceramiche ‘moderne’, assistiamo a un evolversi dei gusti dei consumatori già nelle ceramiche prodotte nel Seicento. Tra le ingubbiate trovano continuità quelle maculate e si diffondono anche le ceramiche marmorizzate, con l’utilizzo dei colori verde e rosso-bruno. Nelle graffite monocrome a punta, compare il tipo con vetrina verde e proseguono quelle brune; alcuni esemplari prodotti, poi, presentano raffigurazioni elaborate, come ad esempio i famosi piatti decorativi firmati dai pavesi Cu­zio negli anni che vanno dal 1676 al 1694. Non è da meno la diffusione delle maioliche ‘bianche’, con stemmi centrali, oppure impreziosite da motivi in blu o poli­cromi secondo lo stile faentino, con i caratteristici putti entro ghirlande flo­reali. Alla produzione di piatti e oggetti per la casa si accompagnano infine fiasche ovoidali, bottiglie cilindriche, vasi di maiolica e boccali finemente lavorati.

del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com