Ho vissuto per un certo periodo nel Devon e un giorno di bella stagione mi sono recato con amici in una località marina situata una trentina di chilometri a sud di Bristol, dal nome che mi incuriosiva: Weston Super-Mare. Niente di ché: mare color caffelatte e acque fredde, bagno di sole e stop.

Che ci stava a fare, allora, quel pretenzioso Super-Mare ma, soprattutto, quel Mare sostitutivo del casalingo Sea?
Siccome oggi parliamo di Maldive, lo splendido arcipelago dell’Oceano Indiano, mi è venuto istintivo ricordare la località inglese, concludendo che i maldiviani dovrebbero aggiungere una infinita sequela di Super per definire il loro, di mare.
Un oceano che tuttavia sta procurando non pochi grattacapi a chi vive qui; persone che si vedono letteralmente sparire, anno dopo anno, le sottili strisce di terra sulle quali poggiano i piedi.
Ma i maldiviani sono ostinati e coraggiosi; grazie anche al denaro dei molti turisti che ogni anno arrivano da tutto il mondo – un milione e mezzo nel 2019, dei quali 136 mila italiani – stanno trovando il modo di risolvere i loro problemi che, è cosa nota, sono dovuti quasi esclusivamente ai cambiamenti climatici (progressivo riscaldamento del pianeta) e all’innalzamento dei mari.
Alle Maldive, altitudine media di un solo metro, la situazione diverrà tragica fra qualche decennio.
Isole piccole, numeri impressionanti

Le Maldive sono uno sciame di atolli (una ventina) sparpagliati al largo dello Sri Lanka e dell’India meridionale; in totale oltre mille isolette delle quali solo ventidue sono abitate.
Ci stanno larghi? Mica tanto, perché i chilometri quadrati complessivi di questa piccola repubblica islamica assommano a poco meno delle isole Elba e Pantelleria messe assieme e gli abitanti sono in tutto quasi quattrocentomila.
Nel 2008 le autorità maldiviane avevano pensato di comprare nuove terre altrove per trasferirvi i compatrioti, ma alla fine hanno concluso che era preferibile assecondare i capricci del mare, anziché contrastarli.
D’altronde non erano pochi i problemi da risolvere: vivibilità compromessa dall’eccessivo affollamento specie a Malè, la capitale, nella quale vivono 130 mila persone su poco più di quattro chilometri quadrati, la più alta densità mondiale!

Il reef attorno agli atolli più abitati è in gran parte compromesso; poi vanno considerati la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, i trasporti, l’approvvigionamento idrico, una migliore qualità di vita per i giovani: vivono a contatto col mare e pochissimi lo praticano.
Insomma, non hanno torto quando dicono: “we are one of the most vulnerable countries on Earth”. Occorreva fare qualcosa: l’hanno fatto e continueranno a farlo.
Nascono Hulhumalé e City of Hope
La prima fase dell’ambizioso progetto è partita nel 1997 ed è stata completata nel 2002: 188 ettari edificati con mille residenti; i successivi 244 ettari di espansione territoriale sono stati completati nel 2015 creando nuove terre con l’aspirazione di sei milioni di metri cubi di sabbia dalle acque circostanti gli atolli, scaricando il tutto su Hulhumalé; questo ha consentito ad altri 50 mila individui di trasferirsi sulla nuova isola nel 2019.

Alla fine, saranno circa 250 mila i maldiviani che vivranno qui, alleggerendo il super affollamento della capitale Malè. La nuova città si trova a due metri sul livello del mare e ha le case edificate a cento metri dall’attuale linea costiera (pericolo tsunami); le strade sono state disegnate per ottimizzare l’influenza del vento, limitando così l’uso di aria condizionata.
Gli edifici più importanti (scuole, moschee, parchi pubblici) sono stati raggruppati in maniera tale da richiedere cento-duecento metri di cammino per raggiungerli dalle abitazioni, riducendo l’uso dell’auto.
Oltre alla pianificazione del verde, ci saranno poi bus elettrici, ciclovie, spazi ricreativi, pannelli per l’energia solare, serbatoi per la raccolta dell’acqua piovana e una razionale distribuzione delle risorse idriche.

Sarà conseguente la digitalizzazione delle case e dei servizi, mediante l’impiego di fibre ottiche. Una cura particolare verrà riserbata al trasporto e alla ricollocazione dei coralli del reef, prima dell’esecuzione dei lavori di scavo delle sabbie.
L’altra città infine, chiamata City of Hope, è stata pensata per i turisti che preferiscono vivere in abitazioni piuttosto che nei molti resort delle isole.
Sono previste abitazioni a diverse tipologie (lussuose, medie e a carattere sociale). Il Governo si farà carico di controllare che alcune abitazioni siano economicamente abbordabili per gruppi specifici: donne sole, disabili, o chi ha subito danni per cause naturali.
Come dire, alla fine: isole Maldive resilienti e rinate, più che sopravvissute, costruite dai maldiviani per la gente delle Maldive.
Libertas Dicendi n°296 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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