Il vulcanico Chef Kumalé

Esotico e misterioso quanto basta, il giornalista Vittorio Castellani da Gassino Torinese. Non gli è sufficiente l’onorevole e ben rappresentata qualifica di ‘giornalista gastronomico’. Ha creato un sito web per raggiungere il quale è necessario digitare ‘ilgastronomade.com’; un gastronomo che svolazza qua e là, attraverso gli infiniti lidi del buon bere e buon mangiare della penisola. E non teme altresì di ‘giocare’ con le parole – particolare questo che lo rende decisamente simpatico – perché non lo sfiora nemmeno il pensiero che, per assonanza, il ‘gastronòmade’ possa essere scambiato per un ‘gasteropodo’. Tutt’altro che lento come una lumaca, il nostro Vittorio; è talmente veloce nel tradurre in ‘fatti’ le molte idee che lo attanagliano, che l’inventiva lo porta a sfornare nuove e divertenti parole composte, quasi essenziali calembour. Qualche esempio? La pagina che raccoglie le esperienze di lavoro trascorse e le variegate indicazioni su ciò che sa e può fare oggi, è condensata in un ricco CURRYculum! Quando passa a illustrare ricette o proposte più o meno succose (oramai la cucina della quale si occupa ha raggiunto meridiani e paralleli mondiali) non si perita di bollare sé stesso e i suoi collaboratori come nati per soffriggere, alle prese con le officine gastronomiche delle quali dispongono. Nel suo regno abbondano i Turisti per Casa e ai più bravi ai fornelli viene dato un grembiule identificativo (e d’onore) con su scritto Cous Cous Klan.

Si limita a scrivere di cucina, a curare il proprio orticello web-blog, l’amico Vittorio? No di certo.

Il giornalismo che pratica può essere considerato, a seconda dei punti di vista e delle circostanze, un giornalismo completo fatto di parole, cucina attiva, creazione di piatti, studi di mercato. Iscritto al GIST (gruppo italiano stampa turistica) fa l’occhiolino anche a quelli della NEOS (giornalisti di viaggio associati) ai quali ha fatto avere un invito sabato scorso (20 gennaio) per un programma di assaggi e visite intitolato Wok this way (Chinatown food cool tour). Forse aveva in animo di inviare l’invito stampato in lingua mandarina; ci ha ripensato e ha usato l’inglese, non trascurando però di ricordare nel titolo il wok, quella specie di tegame semisferico tipico della cucina cinese. Dato che l’appuntamento era nel quartiere cinese, quale posto migliore del Kathay, definito ‘il più grande multiethnic food store in Italia’. Qui si trovano cibi, bevande, oggetti per la cucina di provenienza cinese, giapponese, indiana, thailandese e medio orientale; in totale, circa sedicimila articoli diversi! Una mattinata di passeggiate fra le vie della Milano con gli occhi a mandorla (Canonica, Paolo Sarpi, Bramante, Messina, eccetera) alla scoperta di piccole-grandi delizie e curiosità di un modo di mangiare che – questo è certo – ha oramai convinto gli italiani. La ‘novità’, se tale possiamo definirla, è la proposta di ristoranti, negozi, locali tipici che sono nati per soddisfare le esigenze dei cinesi di Milano.

Vittorio Castellani parla con cognizione di causa ma anche con genuino entusiasmo della cucina orientale che, sostiene, conosciamo ancora poco. Il tour mattutino organizzato per i colleghi ha svelato alcuni luoghi altrimenti difficili da individuare nel complesso panorama della gastronomia d’oriente. Raviolerie e bubble tea shop, ma anche locali che hanno offerto un assaggio di xiaochi, che noi chiamiamo street food, ma che è tipico delle giornate di lavoro e di vita in Cina. La scommessa vincente è dunque quella di riproporre le abitudini alimentari dei paesi asiatici, coltivando e vendendo tutto qui, così come avviene in Cina o in Giappone. Ecco allora che in Via Messina uno spazio notevole è stato riservato a un piccolo ma ben organizzato chinese farmer; in esposizione e vendita si trovano diversi tipi di ortaggi e verdure orientali, oggi coltivate con successo nelle campagne dalle parti di Monza. I cinesi di casa nostra, naturalmente, apprezzano il fatto di poter ricreare le condizioni di coltivazione e di consumo sempre più simili a quelle lasciate in patria. E sono felici di proporle con successo anche ai milanesi, agli italiani.  Ecco perché fioriscono i pastry shops, nei quali si preparano a vista dolcetti tradizionali e i tofu lab, pescherie con gli acquari colmi di granchi giganti. A questo punto della mattinata il pirotecnico Vittorio, su richiesta specifica che i curiosi non mancano mai di rivolgergli, spiega l’origine del aka Chef Kumalé. Aka sta per ‘altro, altrimenti detto’; Chef non necessita di spiegazioni, mentre Kumalé (kappa a parte) è la formula dialettale piemontese per dire: ‘com’è, come mai…’ (che sei arrivato a sceglierti un nick name come questo?). Comunque originale, va detto, e oramai consacrato dall’uso.

del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

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