Festa dell’8 Marzo, non solo mimose

Ogni tanto capitano cose piacevoli. Una di quelle che mi riguardano e che ho deciso di segnalare ai miei dieci lettori (ho molta strada da percorrere per arrivare ai famosi ventisette del Manzoni!) si riferisce a un libretto ricevuto in dono – libretto di non molte pagine, tutte però di sicuro interesse e  qualità – da un amico che è un padre carmelitano ma che non chiamo padre perché ha la metà dei miei anni; che è sicuramente un sacerdote ma faccio fatica ad anteporre il don al suo nome di battesimo, che è in definitiva un religioso che sa comunque come affrontare i pochi “pro” e i molti “contro” della sua troppo estesa parrocchia milanese. Ma c’è qualcosa in più; Don Fausto, oggi attento e convinto diffusore del Verbo fra pianura padana e foreste africane, un po’ di anni fa (quando ancora studiava) ha trovato il tempo e l’ispirazione per avvicinare sé stesso e la comunità di un piccolo paese tra i monti a un’espressione di cultura popolare spontanea; nelle vesti di nipote prediletto ha infatti raccolto le poesie in dialetto della nonna Agnese: le ha studiate, tradotte, commentate e pubblicate, avvalendosi dell’aiuto prezioso dei compaesani di Agnese, i soli che potessero dare un’idea compiuta dell’unicità geografica e umana del luogo nel quale le semplici rime hanno trovato vita e sostanza. Il paese in questione è Varzo, nell’ossolana Val Divedro, alto Piemonte, a due passi dal confine con il Vallese svizzero. Tra Alpi Pennine e Lepontine, questa è terra dell’antico Ducato di Milano e per tale motivo qui si parla ancora un dialetto che potrebbe essere definito “lombardo montano arcaico”. Ma c’è una ragione in più che giustifica questa segnalazione: oggi è la festa delle donne e l’omaggio ad Agnese Bolzani e alla sua vena poetica è ampiamente in carattere.

Quando “Gne’sa” viveva tra i suoi monti, la vita era semplice, scandita dal ripetersi delle azioni quotidiane, stagione dopo stagione. C’erano momenti nei quali la baiorda (tormenta) imperversava, e allora i ragazzini si sfogavano con il baruzzit (slittino), mentre per i grandi era necessario squaratà (sciare). Tutti, chi più chi meno, avevano occhi per sgiaminé (osservare, ammirare) le bellezze della natura e nelle lunghe notti d’inverno le mamme raccontavano ai piccoli le molte liende (storie, leggende) dei monti. Chi ha commentato i semplici e incisivi versi di Agnese non ha mancato di porne in evidenza i meriti: “ha saputo cogliere e trasmettere sensazioni di pace e di serenità; quelle espresse in lingua dvarôna sono poesie fresche e genuine perché vicine alla realtà delle genti di montagna”. Agnese conosceva sicuramente i fiori di mimosa, anche se in montagna altri erano più diffusi e popolari. Quello che le sarà stato noto, a differenza delle donne giovani di oggi, è che in Italia la Festa dell’8 marzo data dal 1946, anno in cui l’UDI (Unione Donne Italiane) ha scelto la mimosa perché fiore bello, diffuso, economico e facile da appuntare alla camicetta o alla giacca. Ma in pieno secolo XXI (come scivolano via veloci gli anni!) qualcosa sta cambiando nel giorno dedicato alle donne. Loro non ne vogliono più sapere di mazzetti di mimose accompagnati da salamelecchi più o meno sinceri; preferiscono di gran lunga che l’altra metà del cielo (quella con i baffi) metta in atto atteggiamenti di attenta considerazione, di condivisione attiva, di affettuoso rispetto. Non sempre questo succede, come sappiamo.

Non è più tempo – direbbe Agnese – di ambruié (imbrogliare) o peggio ancora da d’la bala (prendere in giro) il gentil sesso. Non più mimose e cioccolatini, mimose e peluche, ma più voglia di sradicare discriminazioni e ineguaglianze. Potesse approfittare della planetaria diffusione dei “social” – termine onnicomprensivo per l’allucinante quantità di interscambi elettronici fra viventi – Agnese Bolzani ammonirebbe: sim tut in bensgiul (siano tutti in bilico) quindi diamoci una mossa; miglioriamo l’interscambio della comunicazione: parole, contatti visivi e non solo messaggi ed “emotion” con le “faccine”! Basta bȗciarì (sciocchezze); basta puf grevf (pigrizie, tentennamenti; letteralmente: sedere pesante!). Così come la nonna di Don Fausto ha saputo compensare attività e passività di una vita spesa nella ricerca costante di un corretto inserimento nella società, è auspicabile che l’universo femminile dei nostri giorni – pur senza aver letto i versi dla Gne’sa – viva in serenità e ottimismo, perché in fondo, direbbe la poetessa di Varzo: l’è la nosc-ta pasc-tura (è la nostra pastura, alimento).

Come dire, è quello che preferiamo, quello di cui abbiamo bisogno.

del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

Caro lettore,

Latitudes è una testata indipendente, gratis e accessibile a tutti. Ogni giorno produciamo articoli e foto di qualità perché crediamo nel giornalismo come missione. La nostra è una voce libera, ma la scelta di non avere un editore forte cui dare conto comporta che i nostri proventi siano solo quelli della pubblicità, oggi in gravissima crisi. Per questo motivo ti chiediamo di supportarci, con una piccola donazione a partire da 1 euro.

Il tuo gesto ci permetterà di continuare a fare il nostro lavoro con la professionalità che ci ha sempre contraddistinto. E con lo stesso coraggio che ormai da 10 anni ci rende orgogliosi di quello facciamo. Grazie.