Amori e parole medievali

Amori e parole medievaliDicono che Carlo Magno, re dei Franchi, sia stato il re della ‘Prima Europa’. La vita di questo grande re analfabeta è stata densa di avvenimenti: guerre, conquiste, amori. Oggi è sepolto ad Acquisgrana – l’odierna Aachen – ma Carlo Magno era figlio delle terre Franche che ha conquistato per prime, per poi espandersi nell’intera Europa. Era così ‘moderno e organizzato’, nel corso delle sue imprese, che aveva deciso di creare come capitale del regno ogni luogo in cui si spostava, fossero città o accampamenti bellici e questi luoghi rimanevano ‘capitale’ per il tempo in cui lui stesso aveva deciso di restarvi. Poi cambiava sede e territori e popolazioni, che inevitabilmente finiva per assoggettare al suo dominio. Non era un re rozzo, Carlo Magno; perlomeno non ci è stato dipinto come tale. Nella sua visione di un nuovo regno unitario, che spaziava dall’Europa del nord a quella più meridionale, avrà senza dubbio considerato ‘opportuno’ sposare Ermengarda, figlia di Desiderio, ultimo Rex Langobardorum, per evitare di scendere in conflitto con la potenza – seppure in declino – di questo popolo, che aveva a sua volta favorito la nascita di un regno quasi ‘unitario’ in Italia. Ai nostri giorni siamo tutti presi dai pericoli del terrorismo (le sanguinose faide del Medioevo) dal rischio Brexit che forse disunirà l’Europa; ma anche il Medioevo ha avuto le sue brave crisi di finanza, di integrazione fra i popoli, i suoi intrighi. Niente di nuovo sotto il sole. Di Ermengarda continuiamo a immaginare ‘l’affannoso petto’ e le sue trecce morbide di manzoniana memoria. Chissà come si parlavano, nella breve stagione d’amore vissuta.

Lui usava una lingua gallo-romanza, una specie di paleo-francese, grandemente influenzata da elementi germanici: la lingua ‘franca’, appunto. Lei comunicava con un altro linguaggio di origine germanica che aveva però assorbito, dopo oltre duecento anni di contatto, un latino che cambiava pelle a seconda delle zone della penisola nelle quali veniva parlato e scritto. La gentile Ermengarda sapeva poco di guerre e di tattiche militari; non ignorava però che vocaboli del suo longobardo erano entrati nel linguaggio comune: strale, spalto trappola, spranga. Forse aveva assistito al mutamento semantico di parole del mondo guerresco quali spiedo e sguattero,in origine un’arma e una guardia, che col tempo avrebbero indicato l’arnese per cuocere le carni e il lavapiatti; uno strumento e un personaggio, questi, senza dubbio più familiari. Ma il re venuto dalla Gallia, oltre che con uomini armati, era giunto con termini inequivocabili: gonfalone, usbergo, dardo, schiera; per chi non aveva le sue idee, c’era la baratta (lite); quando sul campo le cose si mettevano male, ricorreva alla tregua. Di sicuro a Carlo Magno non facevano difetto due requisiti franchi: l’orgoglio e il senno, dei quali faceva sfoggio, in uguale misura, a seconda delle circostanze.

[alert color=”EF9011″ icon=”9998″]LEGGI ANCHE: La ‘Bambola’. Un gioco da Museo?[/alert]

Nell’intimità, Ermengarda poteva contare su un nutrito gruppo di vocaboli che la sua gente usava con regolarità. Pazienza se uno (stainberga, casa di pietra) aveva finito per svilirsi nella ‘stamberga’ che noi conosciamo; altri vocaboli dovevano al contrario dare al marito e monarca la sensazione del calore familiare: nella casa, c’era la panca o banca, la scaffa (scaffale). Poi c’era lei, con la sua schiena sinuosa e perfetta, con le sue guance morbide. Ermengarda doveva essere bella; fortunato Carlo Magno, dunque, che non avrà conosciuto – almeno nella sua sposa – i caratteri vagamente spregiativi che i longobardi ascrivevano a certe parti del corpo umano: il ciuffo, la zazza (zazzera), la nappa (naso un po’ grosso) le zinne o zizze, seni un po’ fuori misura, così definiti ancor oggi a Roma. Carlo Magno avrà sicuramente cercato di mitigare gli aspetti più rozzi del suo carattere per compiacere Ermengarda, magari indossando la cotta e i guanti. Non è dato sapere con quali risultati pratici. Se la sposa perdeva le staffe, poteva baruffare, graffiare. Ma l’ultimo, definitivo verbo (è la storia che lo ricorda) lo ha usato Carlo Magno con l’abbandono della sfortunata consorte, per inseguire traguardi politici e nuove avventure dinastiche. Povera Ermengarda; non a caso, il verbo franco significa, alla lettera, ‘lasciare in bando, alla mercè’.

del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

 

Caro lettore,

Latitudes è una testata indipendente, gratis e accessibile a tutti. Ogni giorno produciamo articoli e foto di qualità perché crediamo nel giornalismo come missione. La nostra è una voce libera, ma la scelta di non avere un editore forte cui dare conto comporta che i nostri proventi siano solo quelli della pubblicità, oggi in gravissima crisi. Per questo motivo ti chiediamo di supportarci, con una piccola donazione a partire da 1 euro.

Il tuo gesto ci permetterà di continuare a fare il nostro lavoro con la professionalità che ci ha sempre contraddistinto. E con lo stesso coraggio che ormai da 10 anni ci rende orgogliosi di quello facciamo. Grazie.