Tutti abbiamo Londra nel cuore: giovani come ‘meno’ giovani. Esperienze di studio, di lavoro, di vita, magari anche d’amore, ci hanno temprato perché vissute – per periodi di tempo più o meno prolungati – in un paese storicamente forte, sicuro d’esserlo e quindi presuntuoso; un paese dalle molteplici diversità etniche e sociali, all’apparenza amalgamate alla perfezione, e quindi rassicurante. Se tutti abbiamo o abbiamo avuto Londra nel cuore, io vi ho trovato posto anche per la Gran Bretagna. Negli anni trascorsi nell’isola (gli ultimi degli anni Sessanta, ahimè…) in una terra che dà l’impressione di essere una continuità dell’Europa, ma che al contrario è ‘isola’ nell’anima, ho vissuto nel Devon, a pensione da Mrs. Pendleton che abitava nel piccolo centro di Bradninch, in una casetta delle fate di mattoni e di fragile legno; più sicura finché era in vita suo marito, un pompiere. Mrs. Pendleton mi ha fatto scoprire le liturgie della vita semplice di paese: abbondanti colazioni con salsicce, uova, pane tostato e tazzoni di caffè nero e lungo; alla domenica, messa nella chiesetta protestante di Cullompton (su e giù per le colline della zona) col saluto e le confidenze del pastore al termine della messa, non dimenticando gli scellini per le opere d’assistenza della parrocchia. A Fort Williams, a nord di Glasgow, ho sostituito le tazzone di caffè con le pinte di birra nel pub degli operai di una grande cartiera (turni massacranti, gente ruvida, parole taglienti nei confronti degli inglesi) ma identici sentimenti di sicurezza nell’unicità della propria terra, nelle consolidate istituzioni e nel conseguente ‘distacco’ da tutto ciò che gravitava attorno alla mainland. Stessa musica fra la gente di Treforest, a nord di Cardiff: un paesino di pietra lindo e vivace, contornato da gigantesche montagne di cenere di carbone, perché qui lo estraevano e lo trasportavano nei porti con un trenino. Nel ricordo di grandi discussioni – corroborate da birra e formaggio Caerphilly – non ho mai capito fino in fondo cosa i locali sapessero (o volessero sapere) dell’Europa.
Molte delle persone incontrate nei miei anni di Gran Bretagna non ci saranno più; ma i loro figli e nipoti, oggi in età più che matura come me, saranno cresciuti e avranno vissuto con i medesimi ritmi di vita (quasi un hortus conclusus spirituale) e avranno radicato nel tempo il convincimento che nulla sarebbe potuto cambiare, con lo scorrere degli anni. Ma il mondo correva; e di gran fretta.
I panorami fisici cambiavano (non più cartiere e miniere di carbone, ad esempio). Le esigenze e l’ansia di rinnovamento delle città si allontanava sempre più dall’immobilismo (interpretato come sicurezza conservatrice) delle aree di campagna, delle cittadine e paesi delle Midland, dei piccoli porti brumosi della costa del Mare del Nord. Quindi il timore che l’Europa (ma perché poi la capitale a Bruxelles, non sarebbe stata di maggior prestigio a Londra?) avrebbe finito per ridurre la Gran Bretagna alla stregua di una semplice ‘provincia’; di un organismo, tutto sommato, profondamente estraneo.
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Io mi sentivo Europeo già alla fine degli anni Sessanta, con l’aggiunta di una piccola dose di sciovinismo casalingo (l’obbligo di ‘comportarmi’ bene anche da Italiano). Lo sono ancora, Europeo, sentimento di appartenenza che la maggioranza degli anziani di Gran Bretagna non ha potuto o voluto sviluppare. Fargliene un torto? Sinceramente, non me la sento; l’idea della Casa Comune sta subendo grossi fendenti un po’ ovunque e non solo nella ‘grande’ isola. Rammarico perché la Brexit ha inferto un grave colpo alle idee dei giovani di affrontare la vita in un panorama sociale più vasto e quindi prodigo di opportunità? Certamente. Ma il popolo è sovrano, si dice in questi casi. Non so, alla fine, se tutto questo porterà a un cambiamento del concetto di Europa, casa comune per popoli diversi, che dovrebbero prendere esempio dal motto americano e pluribus unum.
È materia, questa, che coinvolge chi comanda: politici, sociologi, economisti e (purtroppo) gnomi della finanza. Quello che mi dispiace, in tutta sincerità, è il senso di smarrimento di milioni di giovani che avevano scoperto com’era bello vivere e lavorare a Londra e in Gran Bretagna. Ancora una volta, come si dice in questi casi, chi vivrà vedrà.
del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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