Viaggi e Viaggiatori – Avventure nel Tempo
Figlio del notaio Nastagio Vespucci e di monna Lisa, Amerigo nasce a Firenze nel 1452, anche se gli storici preferiscono dare maggior credito alla data del suo battesimo: 9 marzo 1454.

Inizialmente non molto portato per gli studi, con gli anni si appassiona a due discipline strettamente connesse: geografia e astronomia. Nel 1478 si trasferisce a Parigi per un paio d’anni quale segretario d’ambasciata (del Granducato di Toscana) e impara il francese, così come poco prima dei 40 anni raggiunge Siviglia per seguire l’azienda e gli affari di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, cugino di Lorenzo il Magnifico.
Il nuovo incarico piace molto all’uomo che la storia ha designato quale personaggio che avrebbe dato il nome alle terre scoperte da Cristoforo Colombo. Impara lo spagnolo e soprattutto il linguaggio speciale – una vera e propria lingua franca – che si parla in un’area dagli intensi traffici marittimi (Andalusia, Portogallo); finirà per usare questo particolare idioma per tutta la vita, a scapito della natia parlata toscana.
L’azienda per la quale lavora si occupa in modo particolare di tre attività: cantieristica, commercio degli schiavi e banco finanziario; attività, le ultime due, in mano a famiglie fiorentine.
Amerigo diviene esperto sulle tecniche di costruzione, riparazione e manutenzione delle navi; istruisce i clienti su come usare i vari strumenti (bussole, quadranti, sestanti, clessidre e meridiane); acquisisce esperienza anche nel traffico degli schiavi, particolare questo che lo condurrà a visitare terre africane, nel corso dei suoi viaggi verso le Americhe.
Arrivo alle isole
Il viaggio di Vespucci a Capo Verde coincide con l’incarico che il re del Portogallo Manuel gli assegna, dietro lauto compenso: calcolare la longitudine delle terre delle quali aveva parlato il navigatore ed esploratore Cabrál, per concedere diritto giuridico al Portogallo nel considerarle proprie.
Verso la metà del mese di maggio del 1501 partono dunque da Lisbona verso sud tre caravelle con meta il porto di Beseghicce (oggi Dakar) per incontrare Cabrál e proseguire verso sud-ovest. Verso metà agosto – in ritardo sui calcoli di navigazione per via di numerose tempeste – le navi vedono terra.
Così descrive il momento Amerigo Vespucci: “…navigando per l’oceano, scorremmo la costa d’Africa e del paese dei Negri insino al promontorio che da Tolomeo è chiamato Etiopo; i nostri lo chiamano Capoverde, dai Negri è detto Biseneghe, gli abitatori lo nominano Madangan”.
Lo scopo primo dei pochi marinai che sbarcano (le caravelle sono rimaste prudentemente al largo), guidati dal capitano maggiore, è di prendere “padronanza di questa terraa nome di re Manuel”. L’incontro con i nativi, riuniti su un’altura prossima alla spiaggia, si risolve in ampi gesti delle mani; l’equipaggio lascia sulla spiaggia specchietti e sonagli e ritorna allenavi.
Tragico lo sbarco del giorno dopo; uno dei tre giovani marinai che avevano avuto il permesso di familiarizzare con gli indigeni, viene ucciso da un gruppo di donne e il corpo viene smembrato e divorato. Quelli della nave nulla possono per salvarlo, perché gli indigeni, muniti di archi e frecce, li dissuadono con una gragnuola di lanci continui.
Amerigo alla scoperta dei nativi
La volontà di conoscere territori nuovi e le persone che li abitano, alla fine prevale. Così annota il Vespucci: “…questo paese è più abitato di niuno che per alcun tempo io abbia veduto e le genti sono molto dimestiche e mansuete; non offendono alcuno, vanno del tutto nude come la natura le ha partorite: nude nascono e nude poi moiono. Hanno i corpi molto ben formati … il colore inclina alla rossezza e ciò avviene perché, essendo nudi, facilmente sono riarsi dal caldo del sole; hanno i capelli negri, ma lunghi e distesi”.

Amerigo è un osservatore attento e descrive in modo chiaro ciò che vede. Per esempio, annota che sono belli e di gentile aspetto, ma deturpano questa bellezza naturale in maniera incredibile, perché si forano la faccia – gote, mascelle, naso, labbra e orecchi– non con piccoli fori, ma con molti fori (sino a sette, in alcuni individui) larghi abbastanza da ospitare una prugna nell’incavo praticato.
Questi fori vengono riempiti con pietruzze marmoree o cristalline oppure con alabastro, ossi bianchissimi o avorio. E commenta: “…la qual cosa è tanto inusitata, noiosa e brutta, che nella prima vista pare un mostro, cioè che uomo alcuno porti la faccia riempiuta di pietre, forata di molti fori”. Vespucci trova alla fine motivo di consolarsi rilevando che le donne recano ornamenti unicamente alle orecchie.
Primordiali usanze tribali
Naturalmente, dati i tempi e considerata la matrice cattolica dei naviganti approdati a Capo Verde, se le usanze di “abbellire” i corpi con pratiche tutto sommato dolorose stupiscono il navigatore, la conoscenza più approfondita dei locali lascia Amerigo Vespucci del tutto esterrefatto.
Vespucci si accorge subito che “… appresso di loro non vi ha patrimonio alcuno, ma ogni cosa è comune; non hanno re né imperio, ciascuno è re a sé stesso. Pigliano tante mogliere quante lor piace; usano il coito indifferentemente, senza aver riguardo alcuno di parentado; il figliuolo usa con la madre e il fratello con la sorella; e ciò fanno pubblicamente come gli animali brutti”.
Ma non è tutto, perché il navigatore, esperto di astrolabi e quadranti, non può fare a meno di scoprire, inorridito, che gran parte della rilassatezza dei costumi sessuali dei nativi di Capo Verde è imputabile alle stesse donne.
Le definisce infatti lussuriose e inclini a soddisfare i loro “disonesti” piaceri, ricorrendo a una pratica che il navigatore giudica crudele: “…danno a bere agli uomini il sugo d’una certa erba, il qual bevuto subito si gonfia loro il membro e cresce grandemente”. Non contente, se questo non basta, lo fanno mordere da animali velenosi, sino al punto che alcuni perdono i testicoli e diventano eunuchi, conclude l’atterrito Vespucci.
Cannibalismo e vita semplice

Il navigatore e molti membri dell’equipaggio, dopo molti giorni di permanenza nelle isole, si sforzano di far capire ai locali che molte delle abitudini di vita che hanno vanno modificate, per una convivenza più tranquilla, indotti a questo dall’aver constatato che il cannibalismo viene praticato diffusamente.
Osserva Vespucci: “…io viddi un certo uomo scelleratissimo che si vantava e si teneva a non piccola gloria di aver mangiato più di trecento uomini. Viddi anche una certa città, nella quale io dimorai forse ventisette giorni, dove le carni umane, avendole salate, erano appiccate alle travi, si come noi alle travi di cucina appicchiamo le carni di cinghiale secche al sole o al fumo”.
I nativi si stupiscono del fatto che i nuovi venuti non apprezzino la carne umana: carne di nemici uccisi in combattimento, dopo tutto; carni di meraviglioso sapore, lodate come cibo soave e delicato. Le note di Amerigo su Capo Verde non dimenticano il bello che caratterizzale isole: “…l’aere temperato, la bontà del cielo, il terreno fertile e la età lunga: vivono centocinquanta anni e rare volte s’infermano…”. Un paradiso un po’ complicato allora, un luogo conosciuto e frequentato ai nostri giorni.
Libertas Dicendi n°332 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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