Secondo Henry Beyle, meglio noto come Stendhal (Grenoble, 1783 – Parigi, 1842) per viaggiare in un paese come l’Italia occorreva anzitutto evitare che le comprensibili secche narrative di un’archeologia straordinariamente diffusa, impedissero di immergersi (per scriverne poi) in “…un salutare bagno di antropologia, di scienza umana; studiare cioè costumi, abitudini, pregiudizi; insomma, i vari modi in cui un popolo cerca la felicità”.

Impegno non da poco, che Stendhal ha cercato di onorare al meglio, lui che ha amato il nostro paese come una seconda patria; lui che lo ha percorso da nord a sud e in ogni senso, lui che ha vissuto a lungo a Milano (dal 1814 al 1821) e a Civitavecchia e Roma (dal 1831 al 1841).
Le note curiose del viaggio di Stendhal percorrono la penisola e testimoniamo come lo scrittore francese intendesse classificare l’itinerario: “…è un rapporto con gli uomini, vivido tessuto di personali contatti”.
Gli appunti dello scrittore comprendono tutto: luoghi, monumenti, scorci panoramici, persone, mezzi di trasporto, prezzi e monete in uso ecc.; un vero e proprio universo descrittivo.
Dalla Francia a Livorno

La diligenza che arriva dalla Francia lo lascia a Susa dove, dice Stendhal, vi devono essere delle antichità da osservare, preziose quando si va a Roma e che non si guarderebbero più al ritorno! Arriva a Torino e subito consiglia di prendere alloggio al Dufour, in piazza Castello, scegliendo la camera 30 o 47; poi pranzare secondo la lista.
Cosa fare a Torino? Passeggiare lungo la via Po fino al ponte costruito da Napoleone su questo fiume, suggerisce lo scrittore; e aggiunge: se le gambe sono buone, si può andare sino a Superga, il Saint-Denis di casa Savoia; la chiesa non è un gran che, ma la vista è superba.
Dopo aver tergiversato un po’ se fosse meglio trasferirsi a Genova con la diligenza o preferire invece un vetturino – per poter avere quattro o cinque compagni di viaggio da conoscere a fondo (!) – decide per quest’ultima soluzione. Annota: il vetturino parte alle cinque di mattino, si ferma da mezzogiorno alle tre e fa tutto per arrivare al tramonto; durante il viaggio la scelta dell’albergo spetta al vetturino.

Insiste sul numero della camera, Stendhal e consiglia di chiederla con tono perentorio: “…mi dia la camera che un russo ha occupato per ventidue mesi”; aggiunge infine che costa un franco, un franco e venticinque al giorno.
Una volta a Genova, suggerisce, bisogna andare alla pensione Svizzera, vicino ai Banchi (la Borsa ha questo none); bisogna chiedere la camera 26 al quarto piano, dalla quale si vedono il porto e la montagna.
Dopo aver visitato e suggerito alcuni monumenti e opere genovesi degne di essere viste, progetta lo spostamento successivo: per trentasei franchi e in tre giorni e mezzo un vetturino vi porterà a Livorno; se la Magra è in piena, attenti a non affogare…questa è la strada più bella d’Italia; più lentamente si va, meglio è.
A Livorno fermarsi all’Aquila Nera; la camera costa tre paoli (cioè tre volte cinquantasei centesimi); il paolo si divide in ottocrazie; è la moneta più leggera del mondo, vale sette centesimi. Di Livorno, Stendhal suggerisce una visita alla statua del porto e ai due cimiteri (!): quello ebreo e quello inglese. Ma, soprattutto, consiglia di cenare al Caffè del Greco.
Il viaggio si allunga: Firenze, Perugia, Roma

Giunto a Firenze, Stendhal prende alloggio dalla Signora Imbert (baccano di grande albergo, annota…); troppi inglesi a cena e lo scrittore confessa che è opportuno cenare solo con italiani, per conoscerne il carattere.
La visita della città prevede diversi luoghi: palazzo Pitti (chiedere al portiere di vedere la Venere del Canova); quindi il giardino di Boboli, Santa Croce, San Lorenzo, dove c’è la tomba di Paolo Giovio, ma soprattutto la Cappella di Michelangelo.
Con il giro delle mura di Firenze, non manca una visita a San Miniato. Dopo altre doverose soste (Santa Maria Novella, una passeggiata alle Cascine) si può programmare lo spostamento per Perugia: “…vi si va in cinque o sei giorni, spendendo cinquanta o sessanta franchi al massimo, con un vetturino; offrire quarantacinque franchi…”.

Perugia rappresenta il transito per Roma, città nella quale, una volta giunti, per Stendhal esistono due opzioni: la prima è fare tappa da Franz, in via Condotti; non avesse posto, si può ripiegare andando dalla Giacinta, di fianco alla dogana. Per la cena, a Roma, c’è solo l’imbarazzo della scelta: la migliore è dall’Armellino al Corso, di fianco a palazzo Sciarra: cenare con ventisei baiocchi (cento baiocchi fanno cinque franchi e quaranta; ci sono dieci paoli in uno scudo romano) precisa lo scrittore, dando prova di grande sicurezza nel maneggiare le diverse monete e valori.
Roma, per Stendhal, è innanzi tutto San Pietro (…all’arrivo prendere un ragazzino e farsi condurre in San Pietro, non indugiare per strada). Le mete nella grande chiesa sono precise: il monumento funebre degli Stuart e la tomba Rezzonico, entrambi del Canova; quindi il loculo del papa Farnese, scolpito da Guglielmo della Porta, allievo di Michelangelo.
Non potrà mancare l’arrampicata sulla cima di San Pietro per godere del panorama della città, non senza trascurare la Pietà di Michelangelo, nella prima cappella.
Roma viene gustata da Stendhal in tutti i suoi aspetti, nei giorni che seguono;raccomanda persino di prestare attenzione, nella visita al Colosseo, per non rompersi l’osso del collo camminando sulle volte delle rovine che potrebbero cedere!
Ogni monumento, ogni chiesa, suscita l’ammirazione dello scrittore;visita naturalmente la Cappella Sistina (due paoli alla vecchia custode!) e non manca di girare Roma in lungo e in largo, sempre rendendo conto dei paoli e dei baiocchi distribuiti per poter vedere un dipinto, un altare, una nicchia particolare, una cappella, un vecchio edificio.
Il ritorno: Napoli, ancora Roma, Bologna, Venezia

Da Roma a Napoli pernotta, di volta in volta, a Velletri, Terracina – dopo aver attraversato la palude Pontina – quindi Capua; a mezzogiorno del quarto giorno giunge a nella città del Vesuvio.
Non nasconde il fatto che i vetturini del posto sono dei furfanti, perché aumentano le tariffe quando ci sono turisti inglesi! Non è facile trovare alloggio in città; il suggerimento è di sistemarsi al Santa Lucia con una camera al quarto piano: vista assicurata sul golfo e sul Vesuvio!
La Napoli di Stendhal è una Napoli marittima: visite a Ischia, a Capri. Sulla via del ritorno a Roma sosta nei pressi di Gaeta per vedere la villa di Cicerone. Per risalire verso nord, ecco il solito vetturino: prima sosta a Terni per vedere la cascata delle Marmore.
Giunto ad Ancona, noleggia un domestico per visitare la chiesa di San Ciriaco e l’antico Tempio di Venere. Nuova tappa: Bologna, città nella quale l’attenzione di Stendhal è rivolta alle numerose gallerie d’arte, al museo e alle passeggiate lungo i portici fuori porta Saragozza.
Di passaggio a Ferrara, visita le case del Tasso e dell’Ariosto quindi, per mezzo di una diligenza veloce (venti ore e ventiquattro franchi) si sposta a Venezia. Nella città lagunare Stendhal dimora per un solo franco alla Locanda della Luna, che offre il vantaggio di trovarsi a venti passi da piazza San Marco; per la cena: il Pellegrino (due franchi).
A parte la visita al palazzo Ducale, le altre mete dello scrittore sono la scuola di Belle Arti, la tomba del Canova, quadri e affreschi. Però si concede un caffè al Florian dove, dopo la mezzanotte, si incontrano i personaggi della cultura veneziana.
Fine del viaggio: città venete, lombarde; poi Milano e la Svizzera

Dopo aver discettato sulle differenti valute (lira austriaca, veneziana, milanese, veronese ecc.) alla ricerca del migliore e meno costoso dei trasporti, si fa convincere (da quelli del Luna…) a spostarsi con una sediola (piccola carrozza, calesse) e, in caso di maltempo, con una diligenza coperta visitando in sequenza Possagno (tempio di Canova), Padova (Prato della Valle, basilica di Sant’Antonio) quindi Vicenza, dove Palladio trionfa e“le case di Parigi vengono a noia”(aggiunge).
Altre quattro ore di sediola e raggiunge Peschiera e Desenzano dove, preso un battello, approda a Salò; da qui passa la grande diligenza che conduce a Milano, passando per Brescia (vedere il teatro antico) e Bergamo(la città alta). A Milano Henry Beyle è di casa; suggerisce a chi viene di alloggiare nell’albergo delle Due Torri (di fronte agli scalini del Duomo!); poi consiglia di salire sul Duomo, di visitare palazzo Reale, le Colonne di San Lorenzo, la Madonna di San Celso e, nel pomeriggio, di gironzolare per largo Santa Margherita, piazza Mercanti e lungo la Corsia dei Servi (l’odierno corso Vittorio Emanuele).
Lasciando la città, le residue mete di questo fantastico giro d’Italia con diligenze, vetturini, battelli e sediole, sono rappresentate dalla Certosa di Pavia e dalla città, per poi puntare su Varese, non senza una breve sosta a Saronno per vedere gli affreschi di Bernardino Luini.
Da Varese a Laveno il tragitto è breve e da qui, con una barca, si visitano le Isole Borromee (tre franchi il costo). Poteva mancare la navigazione sul lago Maggiore? Ecco quindi che Stendhal, col battello Verbano percorre il lago sino a Magadino, in Svizzera, per poi ridiscendere ad Arona, con la visita obbligata al San Carlone, che lo scrittore chiama Colosso.
Fine del viaggio italiano, compiuto nell’anno 1818. Stendhal annota: “…non bisogna nascondersi, lasciando Baveno per Domodossola, che il viaggio in Italia è terminato: si va verso il brutto”. Altri cinque o sei franchi al vetturino da Baveno sino a Domo; infine, quarantotto o cinquanta franchi per raggiungere Losanna.
Libertas Dicendi n°355 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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