Il docente di Letteratura francese Andrea Vannicelli ha definito la scrittura di Julien Gracq “un vero gioiellino di prosa francese contemporanea”. Viaggiatore attento in una Roma degli anni Settanta del secolo scorso, Gracq, pur continuando la tradizione dei grandi viaggiatori del Grand Tour dei secoli precedenti, affronta Roma con occhi attenti e disincantati, per affidare poi alla sua scrittura profonda e indagatrice le sensazioni contrastanti e le magie che l’Urbe gli procura.

Un autore scomodo dalla lingua poetante

Che tipo di scrittore poliedrico sia stato Julien Gracq lo si sta scoprendo – in Italia più che altrove – da non molti anni e lo si scoprirà ancor più dal 2027 in poi quando verrà esaminato, e con tutta probabilità pubblicato, l’enorme carteggio inedito lasciato alla sua morte alla Biblioteca Nazionale di Francia, ottemperando sue precise disposizioni testamentarie.
Quello che è certo è che Gracq, nato nel 1910 e morto nel 2007, è un autore del Novecento fra i più studiati e discussi, autentico monumento letterario della Francia.
Dopo gli studi all’École Normale Supérieure, insegna storia e geografia al Liceo e frattanto pubblica romanzi; nel 1937, quando scrive il suo primo romanzo che pubblicherà con l’editore José Corti, Louis Poirier decide di separare l’attività di docente da quella di scrittore, scegliendo lo pseudonimo di Julien Gracq.
Originale anche in questa scelta: il nome è come quello di Julien Sorel, personaggio protagonista de “Il Rosso e il Nero” dell’ammirato Stendhal; il cognome è un omaggio ai fratelli Gracchi dell’antica Roma.
Nel 1951Gracq pubblica la sua migliore opera La rivagedes Syrtes (La riva delle Sirti) e viene candidato al Premio Goncourt che però rifiuterà, scrivendo a Le Figaro littéraire per dichiararsi “risolutamente non candidato”; ciò gli varrà la definizione di “cometa schiva e luminosa del Novecento”.
Si ritira dall’insegnamento nel 1970 e compie diversi viaggi (a Roma nel 1976); sono una ventina i romanzi scritti da Gracq, tutti pubblicati con lo stesso editore;negli ultimi anni della sua lunga esistenza, nella casa di famiglia di Saint-Florent-le-Vieil, terrà un fitto epistolario con l’amico André Breton.
Originalità della scrittura di Julien Gracq
Lo scrittore francese, tra i massimi prosatori del secolo scorso, è stato giudicato da più parti un impareggiabile stilista, narratore fecondo e irriducibile a ogni canone di genere o corrente.
Si è molto discusso e scritto riguardo il suo polemico rifiuto del premio Goncourt, ma c’era forse da aspettarselo, da una personalità quale quella di Juliem: nel 1950 (l’anno prima del premio) Gracq aveva scritto il pamphlet La Littérature à l’estomac (Letteratura allo stomaco) che conteneva un attacco feroce ai letterati del suo tempo e, in particolar modo, ai premi letterari che a suo dire non contemplano il valore intrinseco di un’opera, ma il rumore che si agita attorno al chiacchiericcio, al polverone che riesce a sollevare.
Per sintetizzare ciò che non sarebbe sintetizzabile, cioè la scrittura e il valore di Julien Gracq, vale la conclusione che ne ha tratto la scrittrice Mariachiara Rafaiani nel 2021: “..la lingua di Gracq rinuncia a ogni compromesso con la narrazione tradizionale e tuttavia la conserva sempre, come una nostalgia, un archetipo superato di cui si è dimenticata l’affezione; se il pensiero leopardiano si sviluppa sul guizzo dell’intuizione poetica, in Gracq è il fuoco linguistico che dà il via ad un universo poetico…una parola inafferrabile, generatrice di stupore, dolore, meraviglia e sgomento”.
Intorno ai Sette Colli

Nell’anno 2009 (due anni dopo la sua morte) l’editore Mattioli pubblica le note, i diari, gli appunti che Gracq aveva scritto in occasione del suo viaggio a Roma del 1976. Sono un suggestivo
resoconto di viaggio, erede quasi testuale dei Grand Tour dei secoli precedenti così mirabilmente tratteggiati dai viaggiatori famosi del passato. Pare quasi – ricordano gli estimatori di Julien Gracq – che la sua abituale vena polemica si sia addolcita nelle parole del professor Louis Poirier, a contatto con le bellezze di Roma.
La sensibilità dello scrittore, parlando della città, lo porta a spostarsi di continuo fra il meraviglioso, il quotidiano e persino il banale che, di volta in volta, l’apparenza magica della capitale gli suggerisce.
Scrive Felice Laudadio nel 2020, nel recensire il pamphlet dello scrittore francese: “…Gracq godeva Roma soprattutto a piedi, coglieva il confine tra il passato nobile e i giorni nostri (suoi), quello tra il sacro e il profano, il reale e surreale. Non si fermava al primo impatto, andava oltre l’imperfetto, il trascurato, il caotico e si apriva a una sequenza di suggestioni, di visioni, di sogni ad occhi aperti;era attento a cogliere dietro le rovine, nella penombra di chiese spesso anonime, al di là del traffico prepotente, del chiasso e degli accenni di maleducazione, i segni di una grandiosità unica, di una magnificenza e di una dignità che lo appagavano”.
Pennellate romane
Sono quelle che Jiulien Gracq semina con apparente semplicità – frutto al contrario di severo spirito d’osservazione – girando per Roma.
Non manca di rendersi conto che anche a Roma esistono i borseggi, che non sono tuttavia violenti (criminalità percepita sui marciapiedi) come a Chicago o a New York; a Roma “ovunque gentilezza pacata e bighellonaggi innocenti”; anche il furto, la tangente, vengono esercitati con una “mezza cortesia evasiva” che si adatta alle regole sociali convenute; in altre parole, aggiunge Gracq, ci sono ladri affabili, chiacchieroni, niente a che vedere coi sinistri fuorilegge per le strade della Grande Mela senza storia, lasciando intendere che quella di Roma è viva e presente in ogni momento della giornata.
Ha scritto Julien Gracq: “Non dimentico mai un paesaggio che ho attraversato” e visitando le basiliche romane, circondate dal verde, aggiunge: “le ore scivolano tra le frasche senza sforzo e senza lasciar traccia”, per concludere infine: “…per quale motivo si è presto radicata in me la sensazione che, se soltanto il viaggio – il viaggio che non prevede l’idea di un ritorno, è in grado di aprirci le porte e cambiarci davvero l’esistenza, un altro tipo di sortilegio, più nascosto, come originato da una bacchetta magica, si leghi invece alla passeggiata prediletta fra tutte, all’escursione senza avventure né imprevisti che dopo poche ore ci riconduce all’attracco da cui partimmo, alla cinta familiare di casa?”.
Pare quasi di intuire che le escursioni romane fra piazze, fontane, giardini, chiese e palazzi, preludano il definitivo e acquietato ritorno sulle rive della Loira.
Libertas Dicendi n°360 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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