del “columnisti” Federico Formignani
Viene quasi da piangere al pensiero che l’attuale Yemen sia nuovamente preda di guerre guerreggiate, come è d’uso da queste parti. Lotte tribali, religiose, dispute di confine per contendere enormi distese di sabbia e rocce alla sovrastante Arabia Saudita. Come se ciò non bastasse, la mai sopita rivalità tra i territori montagnosi del nord del paese con la zona meridionale di Aden; e non è tutto, c’è il brigantaggio dell’Hadramaut e ora anche la presenza inquietante di nuclei dell’Isis, che dicono in continua espansione. Peccato, perché lo Yemen, tra le molte terre visitate, è quella che anni fa mi ha regalato le emozioni più intense per la sconvolgente bellezza dei suoi paesaggi. Una vera e propria terra da ‘Mille e una Notte’; una terra da creazione del mondo (ricordo d’averla interpretata) per quelle distese a perdita d’occhio di rocce nere, brune e screziate, rosse, verdi, torturate dai venti dei secoli. Sotto l’azzurro intenso di un cielo purissimo, enormi distese di pietre e sabbie, scavate dai serpenti asciutti e larghi degli uadi. Lo Yemen ha un’altitudine media che oscilla tra i 1.500 e i 3.000. Sana’a, la capitale, il cui nome arabo significa ‘fertile, operosa’, occupa un’ampia vallata molto vicina alla casa di Allah, a 2400 metri d’altezza sul livello del mare.

Il panorama di campagna, così come noi lo concepiamo, nello Yemen non esiste. Esistono zone coltivate a tabacco, caffè – celebre il Mokha, che prende il nome dall’antico porto sul Mar Rosso – ma soprattutto abbondano, anche a scapito delle due colture citate, le coltivazioni dell’onnipresente, caratterizzante, quasi infestante q?t (significa ‘arbusto’ ed è il Catha edulis, della famiglia delle Celastraceae) pianta originaria delle regioni orientali dell’Africa. Il q?t vive una quarantina d’anni, circa. È una pianta alta mediamente un paio di metri, anche se può raggiungere altezze superiori. La qualità e la resa delle piantine di q?t dipende in gran parte dalla scelta del terreno che deve essere protetto dai venti e ben irrigato. Coltivare q?t, mi avevano a suo tempo spiegato, non è impresa commerciale per tutti. Richiede tempo, capacità di controllo (col fidato Kalašnikov) capacità distributive ma anche notevoli mezzi finanziari. È un ‘lavoro’ che comincia a rendere dopo alcuni anni, necessari questi per ammortizzare le spese iniziali. Ci sono sempre stati – e non c’è motivo di credere non esistano ancora, anche se il ‘clima’ generale oggi è terribile – controlli e obblighi statali su questo tipo d’attività. Per il resto, vige la regola dello spirito d’iniziativa personale o di gruppo. Se le cose vanno bene, arriva anche il guadagno col quale costruire una bella casa quasi sempre a ridosso dei campi o dei terrazzamenti coltivati.
Per gli yemeniti maschi il q?t rappresenta una vera e propria filosofia di vita, oltreché una consolidata abitudine giornaliera. Tutti i suk (mercati) delle principali città (San’a, Ta’izz, Hodeida, Aden, Mukalla) ma anche quelli dei più piccoli villaggi, hanno un settore che vende il q?t. Dopo i pasti, gli yemeniti si rilassano: seduti dove capita a gambe incrociate, prendono i rametti, li lavano e cominciano a staccare le foglioline dalla cima, le più tenere, mettendosele in bocca. La masticazione avviene mentre si chiacchiera con gli amici e lo spoglio dei rami procede spedito verso le foglie più grandi. Ogni tanto un sorso d’acqua o di tè, per facilitare la salivazione che diviene abbondante e consente di roteare in bocca il bolo che si forma dall’impasto di foglie; il gonfiore, sempre più evidente, si sposta ora a destra ora a sinistra, fra denti e guancia, arrivando in qualche caso a deformare, letteralmente, il viso di chi mastica. Il q?t è un alcaloide democratico: anche i più disperati fra i poveri riescono a non farsi mancare la piccola ‘dose’ quotidiana. Gli yemeniti sono convinti che il q?t aiuti a vivere meglio. Attutisce i morsi della fame, allevia la fatica, migliora la resa nel lavoro e – particolare per loro della massima importanza – anche quella delle prestazioni sessuali. L’uso prolungato, comunque, assieme a stati di eccitazione e di euforia, provoca anche forme di dipendenza; alla lunga insorgono problemi per denti e gengive, disturbi renali e gastro-intestinali che indeboliscono l’organismo e portano a un invecchiamento precoce. Non a caso nel 1980 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato il q?t tra le droghe. Ma pare proprio che nessuno, qui, sotto il cielo dell’Arabia Felix, se ne preoccupi! ? ff
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