Dantedì, più forte della pandemia

Ieri, giovedì 25 marzo, era il Dantedí. Ha avuto inizio l’anno scorso e verrà festeggiato ogni anno, negli anni a venire. Dopo il tributo dell’8 gennaio scorso, Latitudes festeggia anche questa giornata; davvero superstar l’Alighieri, vaccino sicuro per la mente e per l’anima.

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Foto di FinjaM da Pixabay

Il gioco sottile delle “date” di Dante

Parafrasando la celeberrima frase di chiusura del Cantico dell’Inferno (…e quindi uscimmo a riveder le stelle) si può senza alcun dubbio affermare che il poeta, grazie ai suoi infiniti ammiratori, si è affacciato a rivedere le stelle per la prima volta l’anno scorso il 25 marzo: una data emblematica che ricalca quella del marzo dell’anno 1300, nella quale Dante ha dato inizio alla sua opera immortale, vergando la prima strofa: (…nel mezzo del cammin di nostra vita).

Il sommo poeta ha intrapreso il fantastico viaggio nell’aldilà –  secondo i più accreditati studiosi delle sue opere – all’età di 35 anni; circa la metà della vita del tempo.

L’iniziativa di dedicare un giorno commemorativo al poeta e l’intuizione di chiamarlo in tutta semplicità Dantedí, ha incontrato l’interesse e il plauso di intellettuali, studiosi e numerose associazioni culturali, a cominciare dai nomi di istituzioni di rilievo quali l’Accademia della Crusca, la Società Dantesca, l’Associazione degli Italianisti, la Società Dante Alighieri, la Società Italiana per lo studio del pensiero medievale e molti altri ancora. Non solo.

È opinione diffusa che il Dantedí debba trovare notorietà e accoglienza anche in Francia e in altri paesi europei, forse anche negli Stati Uniti, nazione nella quale Wadsworth Longfellow, nel 1867, ha tradotto e pubblicato la Divina Commedia.

Unicità dell’anno 2021

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Una copia della Divina Commedia di Dante Alighieri

Questo è un anno speciale perché sono 700 gli anni dalla morte di Dante Alighieri (1321). Le cronache ci raccontano la vita movimentata del poeta: ha vissuto a Firenze, luogo della nascita e (città matrigna) del suo esilio;

è stato a Verona, ospitale all’inizio e in seguito indifferente quando parte; fra gli altri luoghi della vita di Dante vi sono le città di Roma, Arezzo, Pisa, Forlì e Bologna.

Infine Ravenna, che lo accoglie sino alla fine dei suoi giorni. In questo lungo intermezzo di tempo, Dante crea la sua opera maggiore (la Commedia) e indaga con acutezza i vari linguaggi della penisola scrivendo il De Vulgari Eloquentia.

Lingue romanze

Attento studio, questo,nato dalla constatazione che il nord dell’Europa è compreso tra le coste atlantiche della Gran Bretagna e le foci del Danubio. A sud vivono Francesi, Spagnoli e Italiani e fra questi popoli si registrano tre idiomi principali: quelli dell’Oc (provenzale) dell’Oil (francese) e del (italiano).

Notevole quindi in Dante l’intuizione della comune origine delle lingue romanze che il poeta contrappone al latino, lingua artificiale per eccellenza. Tuttavia, pur accreditando il latino del periodo di Roma imperiale quale lingua in assoluto migliore, il poeta conclude – rovesciando i tradizionali criteri di valutazione – che il volgare è più nobile del latino.

Lingua Volgare

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Ma fra i diversi volgari della penisola, qual è il più colto e illustre? Dante ne individua oltre una decina, quindi compone una personalissima graduatoria così riassumibile, da nord a sud: giudica il dialetto genovese vagamente ridicolo, infarcito com’è di sibilanti “zeta”; liquida come rusticani e montanini il milanese, il bergamasco e quelli veneti e friulani (di Aquileia, dell’Istria); non sono illustri, a suo dire, le parlate dei territori e delle città prossime a paesi stranieri quali Torino, Alessandria, Trento, impure in quanto influenzate da idiomi non italici.

Il giudizio cambia con i dialetti emiliani e romagnoli: quello di Forlì, dove lui ha vissuto nel 1302, gli sembra troppo femminile, ma il bolognese è davvero una “leggiadra loquela”, influenzata dagli idiomi parlati a Ferrara, Modena e Imola.Eccellenti letterati nobilitano il volgare toscano, anche se affetto da “turpiloquium”.

Molto severo Dante è con la parlata di Roma; “la più turpe, perché i romani sono sopra tutte le genti corrottissimi”. Scendendo verso sud, ecco i pugliesi,che quando parlano sono barbari, pur vantando nello scritto tradizioni illustri. Quelli della Sardegna (che non sono italici) hanno un linguaggio simile al romano rustico del mondo latino.

Infine il siciliano, importantissimo, perché in Sicilia è nata la rima poetica: la canzone, il sonetto, la tenzone. Conclude Dante: fosse esistita una vera unità nazionale, sarebbe stato tutto più facile; occorrerà quindi estrarre il meglio da questi volgari, al fine di crearne uno che sia, nel suo complesso: illustre, cardinale, aulico e curiale.

Libertas Dicendi n°306 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

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